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Rêver

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 La giornata di oggi segna l'inizio astronomico della Primavera: bentornata, amica mia! Non ho granché di cui lamentarmi: qui, su questo scoglio solitario, presso la punta di vedetta della mia terra tutta che si protende verso il mare, godo della mia beatitudine. Ho finalmente avuto il lavoro dei miei sogni, che comincerò però solo il mese prossimo (perciò ho TAAANTO tempo libero), non ho preoccupazioni di sorta e mancano due giorni al mio compleanno. Potrei chiedere o desiderare qualcosa di più dalla vita? Onestamente, sì. Okay, bene, sono davanti al mare e mi manca comunque qualcosa: un pensiero profondo per cui gioirne vedendolo, che mi si rievochi al solo rimirarlo; una gioia feconda che mi faccia desiderare d'abbbracciarlo; un patimento sul quale struggermi. Sono davanti al mare e me ne manca la vita. Certo, come sempre mi sento parte di tutta la storia bimillenaria che mi abbraccia e, mentre Dalla canta di Caruso e dei suoi amorosi sensi, mi figuro navi greche solcare il

Alla Donna passata

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 Mia carissima, sembra non passare giorno senza che una parte di me, per quanto piccola, ti riservi un angolo di tempo, un lasso di spazio consacrato all'incidentalmente pensarti: il resto di me, invece, compie lo sforzo immane non già di dimenticarti ma di porre a quest'alterità pensante, che ti figura in un passato nel quale immaginavamo il presente, la domanda di senso che succede quei giorni pregni di significato: "Perché?" Perché riaffiori? Perché sei ancora qui? Perché lasci che la sua figura trasparisca come un'eco del passato? Ci sono momenti nei quali, specchiandomi in un vetro che guardi al domani, rivedo fra luci ed ombre la mia immagine riflessa e la tua pure, che si sovrappone a tutti i futuri possibili ed in quelli più concreti riaffiora sui volti che travedo vicini e mi figuro tratti nuovi ed immaginifici capaci di ricomprenderti. A questo punto della mia vita, dove pensarti diversamente non è più solo un'ipotesi, mi chiedo se la ferocia con la

Ascolta, mio povero cuore

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  Ascolta, mio povero cuore vedovo d'amore, ti porto la consolazione: voglio raccontarti la storia dell'uomo che andò a cercare se stesso, battendo di palmo in palmo la più santa delle terre, e toccò con le sue mani le stesse pietre che il Cristo avrebbe potuto tramutare in pane; ma che tornò colle ossa rotte e forse ancora più peccatore, i piedi smarriti, lo sguardo sperso ma una corda innamorata e la cassa espansa da tanto affetto trovato e poi nuovamente celatosi. Voglio raccontarti la storia dell'uomo che tanta parte ha spesa del suo tempo a costruirsi un futuro di carta, che pare però non addivenire, e su questo ha scritto appassionate pagine vergate d'un inchiostro sanguigno: ti dirò di come abbia combattuti acqua e vento, galoppate in treno le vaste distanze che lo separavano dalle sue speranze, rinverdite le sue gioie nei verdi pascoli dove i libri si incontrano e ne sia comunque uscito sconfitto. Ti dirò dell'improba sua battaglia per ricevere delle sue fat

Ozymandias, ovvero le vestigia della mia grandezza

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Passati sono i tempi nei quali agivo come un ‘tombeur de femmes’, con una compassata disinvoltura (in verità mai posseduta) che sempre malcelava la mia rigidità. I capelli cadono, una incipiente calvizie avanza trasformando la mia testa in una agorà, ma non per idee. Indosso un ridicolo taglio di barba che mi ricorda e la mia pigrizia nel raderla con frequenza e la necessità di caratterizzare un volto con qualcosa che, una volta almeno, possa essere io -e non il tempo- a decidere. Mentre la mia intelligenza perde progressivamente il suo lustro e la sua effervescenza, la mia aura di bislaccheria il suo smalto. I modi una volta compassati ed eleganti si fanno solo più bruschi, l'educazione si muta in affettazione apertamente ironica, quando non sarcastica. La brillantezza di tutta la mia persona, mostra le sue crepe decadenti. Eccola l'età del cambiamento, eccola la fine dei vent'anni: gastrite, reflusso e dolori alla cervicale. I poveri nervi che fanno tanta parte del co

Un cuore grande

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 Vorrei saper avere un cuore grande, perché mi pare non esserci abbastanza spazio per stipare tutta la stima, l'affetto, l'amore che imparo ogni giorno a poter portare a chi condivide tanta parte di questa strada con me: questi affetti, questi amori, questi amici che non se ne vanno e che tanta più distanza acquistano quanto più profondamente mi si inscrivono nel cuore e chi mi ha già preceduto nella speranza, si è conquistato un posto che nessuno potrà mai togliergli. Vorrei un cuore grande almeno il doppio: oh non perché speri di saper proporzionalmente amare, ché chi tiene certa materia trattata come numeri poi solo in numeri e percentuali sa parlare, e allora dico che vorrei un cuore grande almeno il doppio perché se anche non amerei il doppio quantomeno avrei lo spazio necessario per indagare a fondo e appieno quello che già provo e chissà -io aggiungo- che non avanzi davvero un posticino per qualche nuovo amico. Vorrei un cuore grande il doppio, grande che si noti da una

Mal di Gerusalemme

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  Latina Scalo, a sei giorni dal ritorno dalla Terra Santa Quando sono arrivato a Gerusalemme, grande è stata la delusione allo scoprire che quella città non mi offriva alcun tipo di risposta oppure di orientamento verso le domande che, insistentemente, Le ponevo da molto prima di cominciare il mio pellegrinaggio: ogni dissonanza mi si poneva innanzi lungo le giornate che mi si preparavano, ogni mia idiosincrasia, era risolta nel ripetere a me stesso “Quando arriverai  a Gerusalemme sarà tutto diverso, quando arriverai a Gerusalemme ognuna di queste fatiche ne sarà valsa la pena, quando arriverai a Gerusalemme ti saranno date le risposte alle domande che da lungi poni a Dio.” Come se Dio fosse più vicino a Gerusalemme che a Roma oppure in un buco sperduto come Latina Scalo e come se la Città Santa fosse un amuleto oppure un’indovina alla quale porre domande: pensiero magico e, per ciò, infantile.   Così facendo, certamente ho potuto sopportare tutto quanto mi si poneva innanzi ma quan

Lettera dal Mare

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  Alla nuova donna che verrà Mio dolce amore, avrei voluto averti qui, con me, sulle sponde del Mare di Galilea a contemplare quella santità semplice che sembra spiegare ogni cosa e come tutta la ruota perfetta del mondo trovi in Lui la sua “raison d'être”. Avrei voluto averti qui, e tanto mi sarebbe bastato, e tutta la mia vita avrebbe probabilmente raggiunta la sua più perfetta compiutezza: ti ho straveduta, ancora, fra le onde mentre un gabbiano solitario vi planava e, poco distante dalla riva, da quelle si faceva cullare. Avrei voluto averti lì, perché è stato quanto di più santo la vita mi abbia permesso di esperire: ma tu sei quella sperevole assenza che rende vivo questo mio desiderio. Davanti a quel Mare, amica mia, potrei tradurre i nostri giuramenti in una santa promessa: la promessa che, quando ci chiameremo con quell'amorevolezza che, unica, si vuol sentire una sola volta, comincerebbe per noi quella semplice vita nuova fatta non di sterili rime ma di ogni gioia fac